Barbieri, Cestari e Gasperini sono tre volti di artisti che hanno dedicato la loro vita alla rappresentazione della città.

Una città indagata a fondo, ognuno secondo la propria ricerca e storia personale, e resa pittoricamente e graficamente nelle maniere più diverse possibili, ma sempre al fine ultimo di coglierne la più intima essenza.

Dimenticatevi tutto, o quasi, questa mostra, dal titolo “Antitesi” rovescia completamente le prospettive e le certezze acquisite sia dagli autori che dai loro osservatori per catapultarli in una dimensione inesplorata: quella della campagna rurale e del paesaggio naturale in genere.

I percorsi individuali attraverso i quali i tre autori giungono a questo singolare confronto risultano necessariamente molto diversi fra loro, ma si incentrano su stimoli, domande e bisogni che scopriremo essere assolutamente complementari.

Francesco Barbieri ritiene che l’indagine sul paesaggio rurale, la sua simbologia e la sua estetica, sia assolutamente complementare alla propria ricerca sulle città, in quanto vera e propria “rappresentazione per negazione”: dipingere gli spazi aperti e vuoti per definire gli spazi pieni.
Se infatti il sistema urbano e metropolitano viene inteso come esperienza umana contemporanea per eccellenza (la cui simbologia incarna l’attuale sistema sociale ed economico), lo stesso ci appare inevitabilmente in crisi (a causa di inquinamento, cementificazione, alienazione e marginalità in esso dell’individuo) e ci conduce a guardare ad esperienze alternative, modelli sociali di un tempo spesso remoto con un valore utopico; conseguentemente il sistema rurale risulta per contrasto naturalmente idealizzato quando invece – ed in realtà – è la stessa campagna ad essere mutata, in parte corrosa e deteriorata dallo stesso sistema metropolitano, pronto a fagocitare le zone rurali ai confini delle periferie od inquinare l’economia agricola con logiche da sistema industriale.

Daniele Cestari giunge invece alla descrizione del paesaggio rurale come se esso stesso fosse una città: nei suoi lavori è la natura stessa a farsi “architettura”.
Le montagne – come simboliche colate di cemento – diventano edifici e tutti i suoi dipinti sono vere e proprie descrizioni dell’architettura della natura: sono “città naturali”.
Il cielo diviene il regista supremo di paesaggi in continuo divenire nei quali la presenza umana scompare quasi del tutto.

Massimo Gasperini, infine, concentra la sua attenzione sui concetti di “limite” e di “margine”, di “noto” ed “ignoto”.
Secondo l’autore, spesso, con il termine “campagna” si è inteso identificare il paesaggio naturale, ormai quasi del tutto estinto dal nostro pianeta. Il paesaggio antropico, la cui componente culturale prevarica su quella naturale, ha avuto il sopravvento sulla campagna, impossessandosi delle sue strutture basilari, convertendole e rendendole non più funzionali per la sopravvivenza dell’organismo territoriale.
La “città continua” è avanzata inesorabilmente, ampliando i propri margini e fagocitando lo spazio libero, secondo la teoria del consumo progressivo del suolo.
La serie di opere presentate in questa esposizione dall’autore intende quindi indagare la dimensione concettuale del margine, inteso come limite tra questi due sistemi: città e campagna si contrappongono secondo i termini dell’addizione (la città che si stratifica e si sedimenta sulla campagna), della sottrazione (la città che toglie alla campagna il territorio vitale) e della figurazione (artificio contro natura).
Le visioni generali ed astratte, nelle quali il paesaggio urbano ed il paesaggio naturale si avvicendano, sul filo dei contrasti e delle dissonanze, nel paradosso del confronto delle macro-forme, si specificano man mano che la linea dell’asse ottico guadagna il suolo.
Questo approdo corrisponde al dominio degli elementi naturali su quelli artificiali, che si smaterializzano sino a divenire riflesso o ricordo di una preesistenza e di una esistenza.
Gasperini lavora sui margini poiché il margine coincide con il limite tra due realtà distinte, contrapposte. Tra il noto e l’ignoto.

Sullo sfondo di tutto – silente – il confronto inevitabile con la grande pittura del passato, in quanto confrontarsi con il paesaggio rurale significa anche e soprattutto confrontarsi con la storia dell’arte stessa e accettare la sfida di esprimersi in modo contemporaneo ed attuale su questo fondamentale argomento, con tutto il rispetto che merita, ma senza più considerarlo un tabù.

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Esposizione a cura di Matteo Scuffiotti
dal 2 giugno al 24 giugno 2018
Galleria La Linea – Via Mazzini 21, Montalcino (SI)